San Gregorio da Sassola

San Gregorio da Sassola

Fig. 2. Lato Est
Provincia
Roma
Località
Valle del fosso dell’Acqua Raminga
Tipologia
Antico acquedotto Anio novus
Autore della scheda
Zaccaria Mari

Descrizione

L’acquedotto Anio novus, iniziato da Caligola nel 38 d.C. e terminato da Claudio nel 52, proveniente insieme ai ben più antichi Anio vetus e Aqua Marcia e alla coeva Aqua Claudia dalla valle dell’Aniene, attraversa il fosso dell’Acqua Raminga, in Comune di San Gregorio da Sassola, nell’agro prenestino, con il “Ponte S. Antonio”, così denominato da una vicina edicola sacra scomparsa ormai da oltre un secolo (fig. 1). Si tratta di un’imponente struttura, lunga alla sommità della valle ben 120 metri, che si incunea profondamente nell’alveo del fosso, raggiungendo un’altezza di m 32 ca. (maggiore, se si calcola la profondità dell’alveo; fig. 2), eguagliata solo dal ponte in loc. Arci a Tivoli e superata dal ponte nella valle della Mola di San Gregorio, entrambi dello stesso Anio novus, che però sono crollati.

In origine il ponte aveva un’architettura snella in opus quadratum a blocchi di tufo bugnati, irregolarmente disposti di testa e di taglio (solo nella svettante arcata centrale sono utilizzati blocchi di calcare travertinoso), ed assunse il maestoso aspetto odierno con una totale rifasciatura e contraffortamento in opus latericium databile circa alla metà del III secolo, in età post-severiana (Ashby), meno probabilmente al IV-V secolo (Van Deman). Modesti restauri antecedenti sono in opus reticulatum (fig. 3).

Alcuni piloni della prima fase avevano già essi contrafforti sui due lati. L’opera quadrata è visibile in vari punti ove il rinfoderamento è crollato: all’inizio e alla base del tratto più lungo del ponte (sulla sponda destra, ovvero Nord, del ruscello; figg. 4-5), nell’arcata centrale (fig. 6), ove sono scomparsi gli ipotizzati quattro archi laterizi inseriti al di sotto (forse quattro, uno nel letto del ruscello), e nella parte alta del più breve tratto sulla sponda sinistra. Durante la fase di III secolo il ponte risultò avere due ordini di cinque strette e slanciate arcatelle a doppia ghiera nel tratto a Nord del fosso (figg. 7-8) e tre archi ciechi, o meglio nicchie, sovrapposti in quello Sud (fig. 9). Di notevole interesse è la sottile rifasciatura, visibile soprattutto sul prospetto Ovest, realizzata con spezzoni dei depositi estratti dallo specus dell’acquedotto, risalente, come la totale occlusione di un arco con lastre di calcare, ad epoca molto tarda o addirittura alto-medioevale (figg. 10-11). Al successivo periodo di abbandono e fatiscenza dell’acquedotto sono invece attribuibili le concrezioni calcaree, formate dall’acqua fuoriuscente dallo speco, che si vedono pendere sulle superfici esterne. Sigle a grosse lettere incise sui blocchi (MV e PR, quest’ultima ripetuta due volte; fig. 12) sono di difficile interpretazione, ma probabilmente da collegare all’attività di cava o di cantiere.

Lo speco affiora oggi, sezionato e con volta a botte, nel punto in cui, deviando ad angolo retto, raggiungeva la testata Nord del ponte (qui era un pozzo e, forse, una saracinesca per scaricare, all’occorrenza, il flusso idrico); di esso si conservano anche i filari di blocchi alla base, costituenti le sponde di un sentiero pedonale che corre sull’intera lunghezza del ponte.

Lo stato di conservazione del monumento è apparentemente invariato rispetto alla documentazione grafica e fotografica che ne fece agli inizi del ‘900 il più eminente studioso degli acquedotti antichi, Thomas Ashby, il quale definì il ponte S. Antonio “one of the finest bridges of the Roman aqueducts” (figg. 13-14). In realtà gravissimi sono i problemi statici che la colossale costruzione evidenzia, generati da due cause principali: la corrente del fosso, che ha approfondito sensibilmente l’alveo, lasciando le fondazioni dell’altissimo fornice centrale sospese; gli agenti atmosferici e la vegetazione, che hanno favorito numerosi crolli, anche piuttosto consistenti, delle masse murarie giustapposte.

Nel 2019 è finalmente iniziato un cantiere (attualmente in fase conclusiva), finanziato con 250.000,00 euro dall’ex Provincia di Roma nel lontano 2007, appaltato dal Comune di San Gregorio e supervisionato scientificamente dalla Soprintendenza, che nel 2013 ha approvato il progetto con il supporto della ex Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, intervento mirato ad arginare, almeno per un certo lasso di tempo, l’erosione provocata dal fosso e agevolata dalla natura scistosa del banco calcareo. Sono state, infatti, risarcite con muratura le sgrottature sotto i pilastri della grande arcata ed è stato in parte rettificato il corso del ruscello, in modo da impedire che la corrente continui ad escavare la roccia con l’ineluttabile risultato di far collassare il ponte; è stata tagliata la vegetazione su tutte le superfici e sono state devitalizzate le radici con trattamento biocida.

Va, tuttavia, precisato che con l’intervento in atto non si risolveranno in alcun modo i gravi problemi strutturali del ponte, che resta a rischio di crollo soprattutto per la mancanza di un solido sostegno alla base dei piloni della campata centrale e per le profonde lesioni che interessano il pilone Nord e i blocchi di rinfianco di quest’ultima (fig. 15). In varie zone la rifasciatura laterizia è caduta, generando profonde cavità, e ovunque si notano fenomeni di disgregazione delle cortine murarie, dovuti alle intemperie e alle radici degli alberi, che coinvolgono principalmente i restauri più tardi.

L’eccezionale monumento, per la salvezza del quale è stato portato all’attenzione del Ministero il grido di allarme lanciato anche dalle Associazioni culturali locali, abbisogna di un’immediata opera di consolidamento statico che richiederà, in via prioritaria, la risoluzione del problema della sottofondazione degli appoggi del grande arco e la riconnessione, mediante imperniature, tiranti o altro, delle masse murarie in procinto di staccarsi.

Bibliografia

E.B. Van Deman, The Building of the Roman Aqueducts, Washington 1934, pp. 306-307, Th. Ashby, Gli acquedotti di Roma antica, Roma 1991 (traduz. di The Aqueducts of Ancient Rome, Oxford 1935), pp. 341-343, M.P. Muzzioli, Praeneste, “Forma Italiae” I, 8, Roma 1970, pp. 91-93, n. 90, Z. Mari, Via di S. Vittorino-Gericomio, ponte S. Antonio, in Thomas Ashby. Un archeologo fotografa la Campagna Romana tra ‘800 e ‘900, Roma 1986, p. 242, n. 202, M.L. Marchi, Ponte S. Antonio, in I giganti dell’acqua. Acquedotti romani del Lazio nelle fotografie di Thomas Ashby (1892-1925), a cura di S. Le Pera, R. Turchetti, Roma 2007, p. 187, n. 12

Fig. 2. Lato Est Fig. 3. Pianta e sezioni-prospetto (da Ashby 1991) Fig. 4. Tratto sulla sponda Nord Fig. 5. Pilone in opera quadrata Fig. 6. Pilone dell’arcata centrale Fig. 7. Particolare del lato Est Fig. 8. Arcatella Fig. 9. Lato Est: nicchie e arcata centrale Fig. 10. Rifasciatura di epoca tarda Fig. 11. Arcatella Fig. 12. Lettere incise su un blocco Fig. 13. Lato Est (foto Ashby) Fig. 14. Lato Ovest (foto Ashby) Fig. 15. Lato Ovest (stato attuale)
Fig. 1. Localizzazione del ponte (n. 24 - da Ashby 1991, tav. 4)