Tivoli

Tivoli

Fig. 9. Veduta di L. Rossini (1826)
Provincia
Roma
Località
Via degli Orti
Tipologia
Vestibolo monumentale denominato “Tempio della Tosse”
Autore della scheda
Zaccaria Mari

Descrizione

Il c.d. “Tempio della Tosse” è un noto edificio tardo-antico assai ben conservato, di proprietà statale, disegnato e descritto sin dal Rinascimento (P. Ligorio, G. da Sangallo, S. Peruzzi), situato a valle del centro storico di Tivoli, lungo via degli Orti, il tratto in salita della via Tiburtina denominato Clivus Tiburtinus (fig. 1). È accostato al lato Sud della strada e spicca, con la sua possente mole coperta a cupola, in uno storico paesaggio di orti e frutteti, che purtroppo appare sempre più aggredito da un abusivismo strisciante e dalla sostituzione dei vecchi muri di cinta con squallide recinzioni (fig. 2).

Il monumento sorge infossato nel mezzo di un’area circolare sostenuta da archi inclinati, realizzati nel 1894, quando, dopo l’esproprio, venne isolato e restaurato. Oggetto negli anni scorsi di un intervento di consolidamento dell’estradosso della cupola, sarà presto interessato da nuovi lavori di restauro e manutenzione.

L’area è sottoposta a vincolo archeologico, ex Lege 1089/01.06.1939, con D.M. del 28.03.1966.

La rotonda (diam. max. m 17; fig. 3) ha l’anello esterno interrotto da due prospetti rettilinei, in ciascuno dei quali si apre un ingresso. Quello sul Clivo Tiburtino, il principale, molto ampio, ha soglia e architrave marmorei; nel Medioevo gli fu addossato un protiro con volticina a tutto sesto, integro ancora agli inizi del Novecento, ma oggi in parte crollato, pertinente alla trasformazione in chiesa. L’ingresso sul lato opposto è invece ad arco (fig. 4). L’arioso ambiente circolare (diam. m 12,45, alt. 15,50) è suddiviso in due ordini (figg. 5-6). L’inferiore comprende due nicchie rettangolari coperte a botte in corrispondenza degli ingressi; altre due, molto più profonde e aggettanti dal muro esterno, anch’esse a botte, si aprono sull’asse ortogonale. Negli spazi intermedi sono collocate quattro absidiole. Le nicchie aggettanti hanno la parete di fondo mossa da tre piccole scansie, una centrale curva e due laterali rettangolari (fig. 7). L’ordine superiore è finestrato: sette ampie finestre ad arco ribassato si aprono all’interno di altrettanti nicchioni ricavati nello spesso muro curvilineo: quattro semicircolari sopra le absidiole e tre rettangolari sopra le nicchie sporgenti e l’ingresso posteriore.

La cupola emisferica, dotata di un oculus centrale, è in opus caementicium rinforzato verso il cervello da nervature meridiane in laterizio (fig. 8), presenti anche nelle volte delle nicchie. L’imposta esterna è rialzata rispetto a quella interna e sottolineata da mensole di travertino che sorreggevano una cornice laterizia oggi del tutto mancante. Sull’estradosso corrono tre alti gradini interrotti da quattro scalette disposte a croce, che in superficie sono frutto di restauro, ragion per cui la loro antichità è stata revocata in dubbio; essi, tuttavia, compaiono già nelle raffigurazioni di G. Battista Piranesi (1763) e L. Rossini (1826) (fig. 9) e sono citati nelle vecchie descrizioni. Va osservato, inoltre, che lo sfalsamento delle imposte e i tre gradini sono accorgimenti statici utili a contrastare la spinta della calotta.

La costruzione è interamente rivestita in opus vittatum, costituito da un filare di tufelli o blocchetti calcarei e tre ricorsi di mattoni (in genere di reimpiego) con belle ghiere laterizie intorno agli archi. Questa tecnica muraria e l’architettura, confrontabile con altri edifici a pianta centrale di epoca avanzata, orientano la datazione verso il IV-inizi V secolo.

Risulta dai documenti di archivio che i restauri del 1894 alla cortina muraria, agli stipiti e alle ghiere degli archi del vano interno furono interrotti, in quanto eseguiti con scarso rigore.

Varie ipotesi sono state prospettate sulla destinazione: tralasciando la più fantasiosa avanzata degli scrittori locali che vi videro un tempio, quella del Nibby che lo volle un oratorio cristiano eretto dai Bizantini dopo la guerra greco-gotica e anche quella che vi riconosce un ninfeo, cui ostano l’architettura e la posizione, ha avuto maggiore fortuna l’identificazione con un sepolcro, sul tipo dei mausolei circolari ampiamente diffusi nel IV secolo, come quello di Elena (“Tor Pignattara”) sulla via Labicana. A questa interpretazione si oppongono, però, il doppio ingresso e le numerose finestre, quindi senza dubbio non può ritenersi il sepolcro della gens Turcia, come vuole il Rivoira in base all’epigrafe (CIL XIV, 3582) inerente la riduzione “in planitiem” del Clivo Tiburtino, rinvenuta nel 1735 lungo via degli Orti e ivi rialzata: il corrector Flaminiae et Piceni L. Turcius Secundus Asterius, infatti, fu soltanto il curatore dei lavori stradali deliberati dal senato romano regnanti Costanzo e Costante (340-350 d.C.). Non è da escludere però che la rotonda sia stata innalzata in occasione dello spianamento del Clivo, il cui basolato è stato rinvenuto a valle del “Tempio” nel 2000 (Mari 2011), come potrebbe indicare anche la datazione in epoca tarda. Dopo uno studio accurato il Giuliani (1970) ha suggerito di considerarlo, come già in precedenza il Deichmann, un vestibolo monumentale, eretto in una grande villa del I sec. a.C.

I prospetti rettilinei in corrispondenza dei due ingressi si spiegano con il fatto che il vestibolo fu letteralmente inserito fra ambienti in opus reticulatum. È merito del Giuliani aver individuato tali preesistenze che l’architetto antico seppe abilmente sfruttare. Il muro sul davanti, che fungeva anche da recinzione lungo il Clivo, nascondeva alla vista per circa metà altezza l’edificio, offrendo quindi al visitatore che vi entrava l’inaspettata visione di uno spazio avvolgente. All’interno del vano circolare si riconoscono ancora, nonostante siano stati rasati, un ambiente rettangolare e un’ampia sala con pavimento in graniglia decorato da tessere musive, nella quale si apriva forse un atrio. Uno scavo del 1998 ha messo in luce sul lato Est della rotonda rozzi restauri dei muri in reticolato, un pavimento in opus spicatum e un canale coperto, tutti di epoca piuttosto avanzata (II-III sec. d.C.). Il canale è forse da mettere in relazione con gli orti presenti già in antico in questa zona semi-pianeggiante e favorita dall’abbondanza di acqua, come accade tuttora con il “canale degli Ortolani” che rasenta la strada.

L’insieme delle preesistenze è databile, se si considerano la tecnica muraria e il tipo di pavimento, in età augustea ed appartiene ad una vasta villa residenziale, sommersa da un ragguardevole interro, di cui affiorano a breve distanza una cisterna rettangolare e un terrazzamento in opus incertum; questo si estende per ben 160 metri fra due strade, la suddetta via degli Orti e la parallela via del Tartaro, citate nel Medioevo come silice publica e via publica (Giuliani 1994). Si è ipotizzato (Coarelli) di riconoscere in questa villa, situata subito a valle del santuario di Ercole Vincitore, il secessus (“luogo di ritiro”) tiburtino di Augusto, il quale proprio nei portici del santuario amministrò spesso la giustizia (citazioni in Suet., Aug. LXXII); secessus che, però, potrebbe essere identificato anche con la villa inglobata nel Palazzo Imperiale di Villa Adriana (Mari 2019).

La totale assenza di intonaco e del pavimento dimostra che l’edificio circolare non fu mai completato (Giuliani 1970). Probabilmente esso fece parte di un progetto di ristrutturazione della villa di otium, come è documentato in altri possedimenti aristocratici dei dintorni di Roma che in epoca tarda si dotarono proprio di fastosi vestiboli affacciati sulle vie pubbliche, con funzione non solo di ‘segnalare’ l’accesso a importanti residenze, ma spiegabili anche in riferimento del cerimoniale con cui veniva accolto il dominus.

Quando nel Medioevo si ebbe la trasformazione in chiesa, l’ingresso fu ristretto, fu aggiunto il protiro e, dato che il livello esterno era molto cresciuto, la soglia venne rialzata e si costruì una scala per scendere all’interno.

Nel IX-X secolo l’edificio era detto, come prova il Regesto Tiburtino, semplicemente “trullo” (in ragione della sua forma circolare cupolata) e si trovava nel fundus Lipiano (Giuliani 1994; Ferruti c.s.). Sulla trasformazione in chiesa, avvenuta il 14 dicembre 956, fa fede un’iscrizione letta agli inizi del Novecento e già all’epoca ritenuta smarrita. È stata una gradita sorpresa rinvenirla all’interno della rotonda durante un recente sopralluogo e anche se può provenire, come altri materiali, dalle vicinanze, non vi è ragione di ritenerla estranea al nostro edificio. È graffita in caratteri incerti sul sommoscapo di una colonna liscia in marmo cipollino (figg. 10-11): † IN M. DEC. d. XIIII FR. I / INd. XIIII conta EclA = In mense decembris die XIIII feria I inditione XIIII consacrata ecclesia.

 Una preziosa nota aggiunta al Regesto specifica che la chiesa era l’ecclesia sanctae mariae portas scure, così appellata dal toponimo “porta scura” con cui si designava il tratto della via Tiburtina inglobato nella galleria all’interno del vicino santuario di Ercole. Nel Cinquecento la chiesa era detta anche “S. Maria delli Horti” (Zappi). La denominazione “S. Maria della Tosse” è di uso popolare e da riconnettere alla venerazione mariana per scongiurare la tosse (Nibby, Sebastiani), come altri culti collegati a malattie localizzati fuori dalla città.

Della decorazione della chiesa sopravvivono gli affreschi nei catini delle absidiole Nord-Ovest e Sud-Ovest, raffiguranti rispettivamente un busto di Cristo entro un clipeo sorretto da angeli (fig. 12) e un Cristo inserito in una mandorla anch’essa sorretta da angeli, forse un’Ascensione (fig. 13), datati, secondo un’ultima lettura critica (Brenk 1998, pp. 72-78), alla seconda metà del X secolo. Ornati in nero su fondo bianco a girali e simulanti una ghiera di mattoni restano sopra l’absidiola Sud-Ovest e la contigua nicchia con l’ingresso (v. figg. 4-5). Sulla volta del protiro si vedevano ancora verso il 1920 “foglie stilizzate e pesci dipinti a semplici contorni rossi su fondo bianco” (Rosa 1919; Pacifici 1925-26, p. 263).

Bibliografia

L. Bruzza, Regesto della Chiesa di Tivoli, Roma 1880, p. 33, ll. 13-16, p. 43, ll. 12-14, p. 60, ll. 11-13; A.M. Zappi, Annali e Memorie di Tivoli, a cura di V. Pacifici (“Studi e Fonti per la storia della Regione Tiburtina” I), Tivoli 1920, p. 89 [opera scritta tra il 1572 e il 1583]; S. Rosa, Memorie medievali del tempio della Tosse, “Bollettino di studi storici ed archeologici di Tivoli” 1919, I, 1, pp. 19-21 e I, 2, p. 57; F.A. Sebastiani, Viaggio a Tivoli antichissima città latino-sabina fatto nel 1825. Lettere, Fuligno 1828, pp. 115, 123, nota 23; A. Nibby, Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de’ dintorni di Roma, III, Roma 1837, p. 199, Roma2 1849, pp. 198-200; G. De Angelis, Relazione sui lavori eseguiti dall’Ufficio nel Quadriennio 1899-1902, Roma 1903, p. 236 (su restauri); T. Ashby, The Classical Topography of the Roman Campagna - II, “Papers of the British School at Rome” 3, 1906, p. 149; T. Ashby, La Via Tiburtina (estratto da “Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d’Arte” 2-7), Tivoli 1928, pp. 67-68; G.T. Rivoira, Architettura romana, Milano 1921, p. 284; V. Pacifici, Tivoli nel Medio-Evo, “Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d’Arte” 5-6, 1925-1926, pp. 261-265; F.W. Deichmann, Untersuchungen an spätrömischen Rundbauten in Rom und Latium, “Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts” 56, 1941, cc. 740-748; C.F. Giuliani, Tibur, pars prima, “Forma Italiae” I, 7, Roma 1970, pp. 203-215, n. 106 (con riproduzione di disegni dei secoli scorsi), p. 215, nn. 107-108 (resti della villa); Z. Mari, Tivoli, Via degli Orti, c.d. Tempio della Tosse, in Thomas Ashby. Un archeologo fotografa la Campagna Romana tra ‘800 e ‘900, Roma 1986, pp. 46-47, n. 24; F. Coarelli, I santuari del Lazio in età repubblicana, Roma 1987, p. 102; C.F. Giuliani, Il santuario d’Ercole e il suo intorno nella toponomastica medioevale, “Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d’Arte” 67, 1994, pp. 35-48; J.J. Rasch, Das Mausoleum der Kaiserin Helena in Rom und der «Tempio della Tosse» in Tivoli, mit Beiträgen von F.W. Deichmann, A. Tschira und B. Brenk, Mainz am Rhein 1998, pp. 56-59, 66 sgg.; Z. Mari, Scoperte archeologiche nel territorio tiburtino e nella Valle dell’Aniene (VIII), “Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d’Arte” 84, 2011, pp. 130-143, n. 2; Id., La presenza dell’Imperatore Augusto a Tibur, “I Quaderni di Arcipelago” 2, 2019, p. 23; Z. Mari, F. Ferruti, Tivoli nell’alto Medioevo, in Città e territorio: il Lazio medievale. Urbanistica e architetture nei centri di Diocesi tra tardo antico e altomedioevo (Atti del convegno, Segni 2016), a cura di F. Colaiacomo, c.s.

Fig. 2. Veduta dell’area circostante Fig. 3. Pianta (da C.F. Giuliani, 1970) Fig. 4. Particolare dell’interno Fig. 5. Particolare dell’interno Fig. 6. Particolare dell’interno Fig. 7. Nicchia rettangolare Fig. 8. Particolare della cupola Fig. 9. Veduta di L. Rossini (1826) Fig. 10. Colonna inscritta Fig. 11. Colonna inscritta Fig. 12. Absidiola Nord-Ovest Fig. 13. Absidiola Sud-Ovest
Fig. 1. Localizzazione nella Carta archeologica (da C.F. Giuliani, 1970)